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L'approfondimento: Quei serafici incroci internazionali

Redazione Nuovo Corriere Nazionale
Pubblicato il 09-05-2018

di Giuseppe Scanni, Nuovo Corriere Nazionale 


Il 12 maggio la cancelliera Angela Merkel sarà ad Assisi, centro della Cristianità e quindi palcoscenico mondiale da cui potrà mandare messaggi importanti, per la Germania e per l’Europa. Messaggi che dovranno arrivare anche al di là dell’Atlantico, dove il presidente Donald Trump guarda alla Germania come al “nemico” del nuovo “impero” statunitense.

 

Appuntamento importante anche alla luce della posizione espressa dagli Stati Uniti, dove fonti ufficiali affermano che il presidente Trump disconoscerà l’accordo con l’Iran contro la proliferazione nucleare (Jcpoa), stipulato dall’Amministrazione Obama. Una giornata cruciale, dunque, nel risiko mondiale, in chiave economica e militare. La Santa Sede, come ha ricordato il cardinale Parolin, ha svolto un ruolo fondamentale nel processo che ha portato al ritorno al dialogo tra le due Coree. Ecco perché nella città di San Francesco, la cancelliera Merkel ha l’opportunità di rompere lo splendido, ma pericoloso, isolamento tedesco.


LA VISITA

La visita della cancelliera Angela Merkel ad Assisi sabato prossimo è stata preparata dai buoni frati del Sacro Convento con il consueto amore e con molta perizia. Padre Mauro Gambetti e padre Enzo Fortunato, dall’annuncio del conferimento della francescana lampada per la Pace, presso la sala della Stampa Estera a Roma, agli incontri preparatori assieme alle Università umbre, non hanno tralasciato opportunità perché l’incontro di Assisi, nella casa di un Santo venerato da tutta la cristianità, doni quanto di meglio sia possibile a tutti gli uomini che siano disponibili non solo a ricevere, ma anche a cercare pace e bene.

 

IL QUADRO MONDIALE

L’incontro cade in un momento complesso e dinamico degli equilibri mondiali, della messa in discussione dei principi di base del libero commercio mondiale, ed esattamente lo stesso giorno nel quale il mondo conoscerà l’esito non scontato sulla conferma statunitense dell’Accordo sulla proliferazione nucleare con l’Iran (Jcpoa). Negli ultimi anni il gradimento in patria di Angela Merkel non è mai stato tanto in basso come in questi giorni; frutto, questo, comprensibile alla luce dei deludenti risultati elettorali, della difficile gestazione del governo di coalizione con il partito socialdemocratico, e a causa della legge di Bilancio presentata al Parlamento, che ha scontentato molti, sia in Germania che in Europa e negli Stati Uniti.

 

Il Bilancio della Germania riguarda tutta l’Europa, gli Stati Uniti e, come minimo l’Alleanza occidentale. Poiché il pareggio di bilancio è risultato essere un dogma inviolabile, il Bilancio preventivo presentato dal socialdemocratico Olaf Scholz è sulla scia metodologica di quelli presentati dall’ex ministro Wolfgang Schaeuble. La Germania non solo diminuirà le spese per gli investimenti, ma manterrà all’1,24% del Pil, un decimale in meno dello scorso anno, le spese per la Difesa, disattendendo le richieste statunitensi sulla ripartizione del sostentamento della Nato.

 

L’obiettivo di Scholz, come fu quello di Schaeuble, è di mantenere fede al Patto di pareggio fino al 2022, di contenere il debito sotto la soglia di Maastricht del 60%, migliorando le stime della crescita al 2,3%. La spesa per gli investimenti calerà da 37,9 a 33,5 miliardi, non sono previsti aumenti di contribuzione al Bilancio Ue, che resta a 10 miliardi. Il mancato aumento delle spese per la Difesa segna il disinteresse per le promesse dichiarate al vertice Nato di Wales, già quattro anni fa, e per quelle che sono state ribadite a Washington la settimana scorsa.

 

E’ vero che la diplomazia si avvale di segnali, rappresentazioni realistiche delle minacce per giungere ad un compromesso. E’ vero anche che qualche volta questi segnali possono apparire ostili. Il limite dei rapporti Usa-Ue è divenuto con evidenza quello dello scambio tra sicurezza e deficit, o, meglio, nella quantificazione di quanto debba essere calcolato il deficit commerciale statunitense a fronte del valore della sicurezza.


INCOGNITA TRUMP

 

Il presidente Donald Trump è definito in modi diversi dalla stampa statunitense, sostanzialmente riconducibili a due qualificazioni, quello di eccentrico e/o lunatico. Certamente ha ben chiaro che gli Stati Uniti sono un “impero”, che tale resterà dopo la fine della sua presidenza, ed un impero è un’entità statuale più eguale delle altre.

 

Da tempo Trump ha individuato nella Germania un “nemico” da battere perché bandiera della non amata Unione Europea, e perché ha in grande sofferenza la supremazia tecnologica che le esportazioni tedesche dimostrano. L’export della Germania negli Usa è calcolato in 114,23 miliardi di dollari, quello statunitense in Germania 49,36, con un surplus a favore di Berlino di 64,87 miliardi. Una cifra intollerabile per il presidente Trump, perché legata allo strapotere della tecnologia tedesca in strumenti medicali, in macchinari specializzati e in automobili.

 

Questo significa che la componentistica tedesca è divenuta essenziale per l’industria manifatturiera statunitense e per la qualità delle prestazioni ospedaliere. Certo, le imprese automobilistiche negli Usa impiegano direttamente 36.500 addetti ed oltre 80.000 fornitori, a vario titolo, di componenti o servizi per le imprese tedesche; la Siemens impiega in Usa 50.000 dipendenti divisi in 60 stabilimenti, ma nel surplus delle partite correnti (l’avanzo cioè delle transazioni con l’estero di beni e servizi) la Germania è accreditata di ben 300 miliardi, più della Cina, e quindi nel commercio globale surclassa gli Stati Uniti.

 

La Germania, prima economia in Europa, è accusata da Washington e - qualcuno direbbe “ovviamente” - dal Fondo Monetario Internazionale (Fmi), di aver violato il Fiscal Compact, profittando, soltanto lei, delle basse quotazioni dell’euro e della lunga crisi; cosicché a fronte della grande avanzata cinese dal 1997 al 2013, mentre gli Usa hanno perso un terzo della quota mondiale di esportazioni dal 13,7 al 9,5%, la Germania ha lasciato sul terreno appena lo 0,6%, passando dall’ 11 al 10,4% , superando così gli Stati Uniti.

 

Ora il lunatico ed imprevedibile Trump è meno imprevedibile oggi che all’inizio del mandato. La sua irruenza lo rende agli occhi di metà e più degli americani sgradevole, e certamente non raccoglie in Europa simpatie maggiori, anzi. La violenza bellica dei propositi annunciati si traduce spesso in articolate operazioni di boicottaggio economico; si serve senza particolari remore dell’arma della minaccia e del controllo dei mari, con la flotta in continuo movimento minaccioso.

 
Non esita ad attribuirsi all’interno del paese e nelle relazioni internazionali successi dovuti alla prudenza del mondo. Il multilateralismo è gorgogliante; mai, nella sua storia, le Nazioni Unite hanno contato così poco; quello che doveva essere un consesso strategico adombrante un governo globale degli indirizzi socio-politici ed economici, il G20, è divenuto un evanescente ricordo di diplomatici e docenti. Al momento dobbiamo sottolineare, però, che il bombardamento in Siria c’è stato, ma con zero vittime e praticamente zero danni militari o strategici per l’economia; segno che il “funesto” regime di Bashar al-Assad è stato preavvisato dal Pentagono con millimetrica precisione degli obiettivi assegnati alle bombe “intelligenti”.

 

In tema di commercio internazionale non è detto che la posizione della Casa Bianca sia isolata, perché il surplus commerciale tedesco, per come si forma e si è consolidato, è mal visto da diversi Paesi europei e non europei, non per gelosia o preoccupazioni per una eventuale egemonia tedesca, ma per la rigidità imposta da Berlino nelle regole di bilancio che porta sconfinamenti del Fiscal Compact, per motivi opposti ai suoi, ad altri paesi. E’ vero che i rapporti con la Russia sono pessimi e che parte importante del Congresso è convinta che le relazioni di Trump con Mosca, in occasione delle elezioni, non siano state lineari, ma è anche vero che le sanzioni ed i dazi hanno messo alle corde oligarchi importanti e sostenitori di Putin, che nonostante il suo quarto mandato ha difficoltà a uscire dall’isolamento provocato da una politica considerata autoritaria all’interno e, per il suo relativismo strategico, pronube di caos nelle democrazie rappresentative.

 

Le ventilate scorribande informatiche ed il finanziamento di movimenti e partiti populisti sembrano essere stati al momento fermati. La Germania, e segnatamente la cancelliera, sa o dovrebbe sapere, che senza l’Europa nel suo complesso, la riduzione a bilaterali dei rapporti che, oggi, la Ue governa nel rapporto con gli Usa, sarebbe una sciagura per la Germania e per tutti, aprendo la strada ad un protezionismo governato dai muscoli dei più forti.

 

RIPARTIRE DA ASSISI

Non è detto che il 12 maggio sia anche la data d’inizio di una nuova tragedia. La vittoria degli Hezbollah nelle elezioni in Libano dimostrano che l’Iran è un soggetto politico con cui si deve trattare; la diplomazia iraniana ha molta esperienza e da Teheran hanno ufficialmente fatto sapere che se i Paesi europei non seguiranno Washington non considereranno rotto il patto di non proliferazione. Il che accadrà e permetterà, se la Germania assumerà le sue responsabilità, di trovare una via d’uscita che, al momento, si intravede in una diversa valutazione delle attività militari iraniane fuori dai confini (leggi Siria e territori curdi); maggiori controlli sui programmi nucleari civili oltre che militari; più attenzione alle preoccupazioni israeliane non soltanto nei confronti dell’Iran ma anche dell’Arabia Saudita. D’altronde le voci che provengono da Israele non sono unanimi sulla necessità di bloccare l’accordo, come è ovvio accada in un paese di grande democrazia.

 

Ieri sul quotidiano Le monde, Ephraim Asculai, dell’Università di Tel-Aviv, dava voce a chi sostiene che se l’accordo non è buono, ritirarsi dal Trattato non è una soluzione. Non recandosi a Gerusalemme il 14 maggio per l’inaugurazione dell’ambasciata, anche se non lo avesse voluto, Trump smorza messaggi militari ed incoraggia gli europei a tentare una strada negoziale “d’area” e riaprire il dossier Nato. con il cattolico presidente Moon, autentico protagonista del tentativo riuscito di smorzare il pericolo di guerra atomica suscitato dalla pressione del giovane Kim Jong-un. In quella occasione il segretario di Stato ha parlato delle preghiere del Papa e della Chiesa per la pace, e della “speranza” suscitata dal nuovo dialogo tra le due Coree.

 

E’ certo che Angela Merkel ad Assisi non potrà ignorare l’urgenza e la necessità di uscire dalla splendida autosufficienza tedesca e favorire una riforma delle istituzioni europee, perché sia un’Europa intera, parte integrante dell’Occidente amico ed alleato degli Usa, a promuovere politiche equilibrate di pace e sviluppo economico. E’ troppo intelligente Merkel per non intuire il prossimo sabato, anche per il luogo in cui si troverà, patrocinato dal Santo che si recò in preghiera, rischiando il martirio, dal sultano d’Egitto Malik al Kamil, che la strada è lunga ed impervia; ma che val la pena, come invocava il molto laico ex ministro degli esteri tedesco Joschka Fischer, avere l’audacia di affrontarla, perché Macron, autorevole all’estero ma debole in Francia, da solo non può molto, la Brexit ha isolato la Gran Bretagna e l’Italia è stata ridotta, per ora, ad un vaso di coccio.



E’ certo che Angela Merkel ad Assisi non potrà ignorare l’urgenza e la necessità di uscire dalla splendida autosufficienza tedesca e favorire una riforma delle istituzioni europee, perché sia un’Europa intera, parte integrante dell’Occidente amico ed alleato degli Usa, a promuovere politiche equilibrate di pace e sviluppo economico. E’ troppo intelligente Merkel per non intuire il prossimo sabato, anche per il luogo in cui si troverà, patrocinato dal Santo che si recò in preghiera, rischiando il martirio, dal sultano d’Egitto Malik al Kamil, che la strada è lunga ed impervia; ma che val la pena, come invocava il molto laico ex ministro degli esteri tedesco Joschka Fischer, avere l’audacia di affrontarla, perché Macron, autorevole all’estero ma debole in Francia, da solo non può molto, la Brexit ha isolato la Gran Bretagna e l’Italia è stata ridotta, per ora, ad un vaso di coccio.


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