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IL SILENZIO DI DIO E LE SOFFERENZE DEGLI UOMINI

Edoardo Scognamiglio Ansa - Massimo Percossi
Pubblicato il 30-11--0001

“Dio dove sei?”. “Dio è nel dolore innocente dei sopravvissuti, in quella morte infame degli schiacciati da pietre e sabbia, da tegole e tetti, campane e laterizi caduti”

In questi giorni si è fin troppo parlato, scritto, guardato, intervistato e commentato a proposito del “mostro” – il terremoto – che ha provocato disastri immani nel reatino e nell’ascolano. Parole e gesti fuori luogo, come quando si è tentato di mettersi in contatto con bambini e anziani sopravvissuti che ancora giacevano tra le macerie.

Video in diretta, foto, trasmissioni non-stop e cellulari con microfoni sempre accesi hanno scandito le ultime due settimane di agosto. Domande banali, fuori luogo, poste a genitori che, da un momento all’altro, hanno perso i propri figli, i parenti, amici carissimi. Figli sconvolti per essere diventati, in pochi secondi, orfani, senza dimora. Scene patetiche e mielose davanti al ritrovamento di cani e gatti, come segno di speranza di una vita che continua, quasi dimenticandosi delle centinaia di morti che ancora giacciono sotto la polvere di case diventate tombe e foriere di sventure annunciate.


Teologi, filosofi, psicologi e religiosi di ogni tendenza hanno posto la domanda: “Dio dove sei?”. La risposta, a mo’ di apologetica della fede, ci ha educati a rispondere così: “Dio è nel dolore innocente dei sopravvissuti, in quella morte infame degli schiacciati da pietre e sabbia, da tegole e tetti, campane e laterizi caduti”. Troppe parole. Bisogno malato e corrotto di “fare diretta”, di “dare le ultime notizie”, di eviscerare pure il sangue, i sentimenti, le paure e le lacrime di chi stava per spirare… Abbiamo messo alla gogna il dolore delle persone, i volti insanguinati dei morti, la paure dei sopravvissuti, i sensi di colpa di chi era uscito di casa e si è salvato. Non abbiamo avuto rispetto per il dolore dei morti, per il silenzio doveroso di chi ha lasciato questo mondo in modo sventurato.

Troppo spesso abbiamo messo Dio in giudizio: dove sei Signore? Qualcuno, da buon pastore, ha ribadito la domanda: “Dove sei, uomo?”, richiamando a quel senso di responsabilità, di dovere, di giustizia mancata, che ha provocato tanto dolore ad Amatrice e dintorni. Polemiche ogni giorno sul bisogno di accogliere i terremotati e di dare il bene servito ai migranti ai quali sono stati riservati alberghi, centri di accoglienza, case private, conventi e monasteri… Ci si è schiarati pro o contro i migranti, pro o contro i terremotati da accogliere in primis. Quante parole, troppe. Quanta confusione, tantissima! Adesso si cercano i capri espiatori, i responsabili di tutto questo male, di tante morti, con occhio furtivo e sguardo severo per gli sciacalli. La Bibbia parla in più occasioni del silenzio di Dio.

All’inizio, infatti, non fu la Parola della creazione, bensì la non-Parola, il Silenzio dal quale Dio è uscito, ritirandosi, per creare il mondo. È il silenzio buono e bello della creazione. È il silenzio del Creatore, indispensabile per creare e per farsi conoscere. Di fatti, la stessa rivelazione biblica ha necessità del silenzio come luogo-condizione affinché Dio parli e l’uomo ascolti. Non va dimenticato l’assonanza di significato già nella radice tra l’ebraico “Parola” (Dabar) e il termine biblico “Deserto” (Mid-Bar).

Il deserto, nella Bibbia, non è – come vorrebbe un certo luogo comune o immaginario collettivo – lo spazio della tentazione, il luogo di morte o di prova, bensì la condizione-luogo (topos) dove Dio parla e si rivela. È nel deserto, infatti, che Dio parla e si rivela a Israele. È nel deserto che Dio seduce il suo popolo e lo lega per sempre a sé. Se la Parola è Dabar, il deserto è Mid-Bar, ossia Luogo della Parola, il Silenzio della Parola, necessario affinché Dio e l’uomo s’incontrino e facciano alleanza, comunione, sposalizio… Senza il silenzio non c’è intimità con Dio, non c’è rivelazione umile dell’Assoluto mistero del Dio tre volte santo e trascendente! Il silenzio è sinonimo, in questo caso, di accoglienza benevole e misericordiosa da parte di Dio. Fare silenzio è, in un certo senso, essere misericordiosi, ossia dire all’altro: “Io accolgo te”, “Io ti ho scelto”, “Io ti proteggo”, “Io ti custodisco”, “Io entro in relazione con te”…

Tuttavia, non è di questo silenzio che voglio parlare. Questo è il silenzio buono, bianco, benedicente, misericordioso di Dio, che crea futuro, dà speranza, rinnova le relazioni con il suo popolo. Non voglio neanche parlare del silenzio degli innocenti, ossia del grido di dolore davanti al quale Dio non risponde e sembra essere sordo, un po’ come denuncia il libro di Giobbe e pone come ritornello il libro delle Lamentazioni che fa proprio la domanda-invocazione, a mo’ di protesta, “fino a quando, o Signore?”. Vorrei parlare, invece, di quelle forme di silenzio in cui Dio si ritira, quasi per protesta, mettendo alla prova la nostra libertà, come una sorta di appello dinanzi al nostro male, al nostro agire immorale, peccaminoso, che rivela fino in fondo chi veramente siamo. È come quando Dio ritira la sua Parola, attraverso i profeti, dalla comunità eletta, dal suo popolo. È la morte, la siccità, la fine.


C’è un silenzio, nelle Sacre Scritture, da parte di Dio, che mette in risalto il male che l’uomo è capace di compiere. È il silenzio di denuncia che si abbatte su noi stessi, per quello che facciamo. È il silenzio sanguinario nel quale agì Caino verso cui Dio pose l’inquietante domanda: “Dov’è tuo fratello?”. È il silenzio che provoca parole giuste, vere, appropriate, che ci crocifiggono per le nostre responsabilità, per le azioni inique da noi compiute. È il silenzio di Gesù morente in croce preceduto dalle parole: “Tutto è compiuto”. In questo silenzio rivelatorio, denunciante, Dio sembra gridare: “Io non ho nessuna colpa, io non centro niente con quello che è successo”. Qualche saggio predicatore mi ha ricordato che Dio perdona sempre, l’uomo qualche volta e la natura mai. Ed è proprio così!

Dio per noi vuol il bene. Non sempre, invece, noi vogliamo il bene per noi, per gli altri e ci lasciamo prendere dall’egoismo. Nelle tante morti di Amatrice e dintorni ha prevalso l’egoismo dell’uomo, l’assenza di prevenzione, la mancanza di tutela per l’ambiente, la retta coscienza di chi era preposto alla verifica di luoghi e spazi, di chi doveva vigilare sulla stabilità delle case. È questo il vero silenzio di Dio: denuncia del male dell’uomo, delle tante sofferenze che noi stessi ci siamo inflitti e abbiamo voluto per i nostri simili. Per favore, impariamo a fare la nostra parte, facciamo silenzio!

Lasciamo stare il buon Dio che è Padre misericordioso e giusto, custode e difensore delle nostre vite, di ogni essere umano, di ogni vivente (anche delle piante e degli animali). Quando più di sei milioni di ebrei sono morti nei campi di concentramento – è il dramma dell’Olocausto, della Shoà – Dio si è ritirato lasciandoci liberi di scegliere tra il bene e il male. E, allora come oggi, il suo silenzio è denuncia di tutto il peccato che noi siamo in grado di compiere.

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