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Il monito del Cardinal Bassetti: Soccorrere, non respingere

Redazione Avvenire
Pubblicato il 05-04-2019

Il presidente della Cei ricorda che sono diminuiti gli sbarchi ma aumentano in modo esponenziale i morti

I migranti vanno soccorsi e salvati, non respinti  o  bloccati in Paesi terzi insicuri. Chi si assumerà la responsabilità di mettere a rischio la loro vita?».



Il cardinale Gualtiero Bassetti pone la questione in modo diretto e ineludibile. E lo fa alla presentazione del rapporto Annuale 2019 del Centro Astalli, illustrato dal presidente padre Camillo Ripamonti, il servizio dei Gesuiti per l’accoglienza dei rifugiati in Italia attivo con nove sedi.


Il presidente della Cei ricorda che «sono diminuiti gli sbarchi in Italia, ma aumentano in modo esponenziale i morti: in mare, nel deserto, nei centri. Ogni morto è un’offesa che colpisce tutto il genere umano».

L’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve ricorda che «chiudendo i porti abbiamo un minor numero di sbarchi, almeno quelli ufficiali, ma in proporzione è aumentato il numero dei morti. E chi torna nel centri di detenzione in Libia diventa vittima di grandi violenze.

Può essere una condanna a morte». Il presidente della Cei cita le cifre sull’aumento dei morti: «Nel 2017 erano 26 ogni 1000 persone che partivano, 35 ogni 1000 nel 2018, quest’anno sono diventati 100 ogni 1000. Noi prendiamo le nostre responsabilità, ma le istituzioni devono prendere le loro».

Per il cardinale dunque il decreto sicurezza e immigrazione «è insufficiente, va rivisto e integrato, perché niente deve mancare quando si parla di rispetto della vita e della dignità della persona. Noi come Cei ci siamo impegnati a colmare lacune». E aggiunge: Mi fa paura la rigidità nell’affrontare certi problemi».

 
Acida la risposta del ministro dell’Interno Matteo Salvini. Che non potendo negare l’insicurezza della Libia e l’aumento dei morti, ripete genericamente che «sono diminuiti gli sbarchi, i morti. Spero che nessuno abbia nostalgia dei 600mila sbarchi degli ultimi anni, dei miliardi sprecati, dei troppi reati, delle migliaia di morti del passato. Oggi in Italia si arriva col permesso, i porti sono chiusi per scafisti e delinquenti». Un «permesso» che, se fosse solo per le iniziative del Viminale, hanno avuto – da novembre a oggi - 154 profughi: quelli arrivati nelle uniche due evacuazioni umanitarie organizzate dall’Acnur cui il ministero dell’Interno ha dato via libera. Ma dell’accoglienza si è dovuta far carico l’Associazione Papa Giovanni XXIII.

Padre Ripamonti sottolinea che «il sistema di protezione italiano continua a non essere in grado di rispondere efficacemente ai bisogni delle persone sul territorio». Anzi: «In un anno di accompagnamento dei migranti forzati in Italia, il Centro Astalli ha registrato un aumento del disagio sociale, della marginalizzazione, degli ostacoli frapposti all’ottenimento di una protezione effettiva».

Secondo il Rapporto 2019«la vita delle persone assistite è segnata sempre di più dalla precarietà. L’abolizione della protezione umanitaria, il complicarsi delle procedure per l’ottenimento di una residenza e dei diritti che ne derivano e anche il moltiplicarsi di osta- coli burocratici escludono molti migranti dai circuiti d’accoglienza».

Padre Ripamonti sottolinea come il Decreto sicurezza in realtà «rallenta il processo di integrazione e rischia di creare più irregolarità e insicurezza», ad esempio impedendo l’accesso «all'accoglienza diffusa dei richiedenti asilo e l’eliminazione della protezione umanitaria».

Tra le novità più controverse ad esempio, c’è che nei nuovi Centri di accoglienza ora «non è previsto l’insegnamento dell’italiano: tutto questo ritarda l’inclusione, a discapito dell’intera collettività». La conseguenza è che la richiesta di servizi di bassa soglia (mensa, docce, vestiario) è forte su tutti i territori. «Molti, esclusi dai circuiti di accoglienza, vivono in condizioni di grave marginalità e la loro salute ne risente».

Anche la diminuzione degli sbarchi non è considerato un «bel segnale».«La riduzione dei flussi è il risultato di accordi con Paesi terzi che bloccano le persone per esempio in Libia o in Tunisia dove sappiamo bene che sono detenute molto spesso senza diritti. Quindi bloccando i flussi non si è risolto il problema, lo si è esternalizzato». E allora «la riduzione dei flussi dovrebbe essere legata alla soluzione dei problemi dell’Africa, accompagnando le persone attraverso il Mediterraneo non con gli scafisti, ma coi corridoi umanitari»


Luca Liverani, Avvenire

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