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San Francesco e la sofferenza. 

Felice Accrocca
Pubblicato il 30-11--0001

La malattia, soprattutto quella grave, mette sempre in crisi l’esistenza umana e porta con sé interrogativi che scavano in profondità. Il primo momento può essere a volte di ribellione: perché è capitato proprio a me? Ci si potrebbe sentire disperati, pensare che tutto è perduto, che ormai niente ha più senso...

 (Messaggio per la XXIV Giornata Mondiale del Malato)

Nel Cantico di frate sole Francesco lodò Dio per quelli che sostengono «infirmitate e tribulazione». Quelle parole non erano vuota retorica sulla sua bocca, poiché da anni era consunto dal male. Una salute di ferro, in effetti, non l’ebbe mai, poiché delicato per natura. Ormai ventenne, nella guerra che oppose assisani e perugini, alla battaglia di Collestrada egli fu fatto prigioniero. Condotto in carcere a Perugia vi rimase per circa un anno, tra il 1203 e il 1204. Con molta probabilità, quella prigionia minò il suo fisico, che già non doveva essere di ferro: Tommaso da Celano ci dà notizia di una lunga malattia da cui fu afflitto dopo la prigionia, contratta, quasi sicuramente, durante la carcerazione. Di che malattia si trattò? Si possono fare solo congetture, ma è probabile dovette trattarsi di febbri malariche: fu in quei frangenti che cominciò a manifestarsi in lui un primo mutamento interiore.



Qualche tempo dopo, un nobile di Assisi organizzò una spedizione militare nelle Puglie. A Francesco sembrò l’occasione buona per divenire finalmente cavaliere ed essere così introdotto nel mondo dei nobili. Giunto a Spoleto, “cominciò a non sentirsi bene”. Durante la notte il Signore lo visitò e nel sogno gli chiese: “Chi può far meglio per te, il signore o il servo?”. Tornò indietro e cominciò tutta un’altra storia… In due diverse circostanze la malattia divenne quindi per Francesco occasione d’incontro con Dio.



I suoi Compagni riferiscono che, alcuni anni prima del viaggio in Oltremare, Francesco fu ancora una volta fermato da un’infermità. Nel 1219, infine, riuscì a infine a traversare il Mediterraneo; tra gli “infedeli” non trovò il martirio, ma riportò comunque un’altra piaga, che martoriò ulteriormente il suo corpo, già segnato: “Per lungo tempo e fino alla morte Francesco soffrì malattie di fegato, di milza e di stomaco, e dal tempo in cui si recò Oltremare per predicare al sultano di Babilonia e d’Egitto contrasse una gravissima malattia agli occhi. Non volle tuttavia avere alcuna sollecitudine per farsi curare da nessuna di queste malattie”. Questa nuova malattia non gli concesse tregua conducendolo verso la cecità. A ciò si aggiungano le febbri malariche che, a intermittenza, gli provocavano fortissime crisi.



I Compagni parlarono ampiamente della durezza che egli manifestò verso il suo corpo, volendo vivere il proprio dolore come sequela del Crocifisso. L’austerità di Francesco verso se stesso provocò l’intervento diretto del cardinale Ugo di Ostia, che insistette perché egli si facesse curare. Quindi intervenne anche frate Elia, che gli si impose quasi di forza. Si era verso la fine del 1224. Passato l’inverno, fu accompagnato a Rieti, dove risiedeva allora un rinomato oculista. Fu un intervento difficile: “La cauterizzazione infatti fu lunga, cominciando dall’orecchio fino al sopracciglio dell’occhio. Perciò fu necessario, secondo il parere di quel medico, incidere tutte le vene, dall’orecchio fino al sopracciglio dell’occhio, anche se, secondo il parere di altri medici, tale intervento appariva controindicato; e fu vero, poiché non gli giovò a nulla. Similmente, un altro medico gli perforò entrambi gli orecchi, pure in questo caso senza giovargli a nulla”.



Fra tante difficoltà, mantenne tuttavia uno “stile di povertà nel vestire” “fino all’ultimo anno di vita”. Pochi giorni prima di morire, “poiché era idropico e ridotto pelle e ossa e per le molte altre malattie di cui soffriva, i frati gli fecero diverse tuniche, perché potessero cambiarlo, secondo le necessità, di giorno e di notte”. Ora non poteva più opporsi: era necessaria una vigilanza continua e un continuo cambio della biancheria; dovette perciò accettare di essere assistito, lavato, sostenuto con un trattamento che ai veri poveri nessuno riservava, ciò che egli considerava un furto!



Volle però morire nudo, povero di ogni cosa. Allora “del suo grembo l’anima preclara / mover si volle, tornando al suo regno, / e al suo corpo non volle altra bara” (Paradiso XII, 115-117).

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