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Giornata contro la tortura: esiste in oltre 140 Paesi

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Ricorre questa domenica la Giornata internazionale contro la tortura: una pratica disumana che viene ancora usata in più di 140 Paesi causando centinaia di migliaia di vittime. Gioia Tagliente ha intervistato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia:

R. – La tortura è un’emergenza globale: almeno l’80% dei Paesi che nel 1984 firmarono la Convenzione Onu contro la tortura continuano a ricorrervi in modo sostanzialmente impunito. In alcuni casi sono puniti i singoli oppositori, in altri la tortura è una vera e propria politica di governo in base alla quale il potere si mantiene unicamente attraverso la repressione. Come sempre la tortura odierna è un misto di metodi che ricordano i supplizi medievali e di tecniche molto moderne in cui addirittura si evita il contatto fisico tra il torturatore e la sua vittima.

D. – Esistono dei progetti mirati alla riabilitazione dei sopravvissuti?

R. – Sì, ci sono moltissime organizzazioni per i diritti umani composte da medici, psicologi, che fanno quello che dovrebbero fare i governi che torturano, cioè almeno prendersi cura delle vittime che producono. In realtà questo non è. Oggi la riabilitazione sul piano fisico e psicologico, soprattutto nei confronti delle donne che subiscono violenza sessuale - utilizzata molto spesso come forma di tortura - è una cosa preziosa e importante perché le aiuta a recuperare la fiducia nel mondo oltre che nella giustizia, ma è qualcosa che è delegato alle organizzazioni per i diritti umani ai medici, agli psicologi con risorse che, come sempre, sono abbastanza scarse.

D. - Qual è la situazione dei rifugiati in Italia?

R. - Ci sono vittime di tortura. Basti pensare ai Paesi dai quali provengono; mi viene in mente l’Eritrea, la Siria. Quindi certamente ci sono vittime di tortura nel nostro Paese le cui storie magari non sono raccontate, sfuggono ai controlli e alla possibilità di ricevere cure mediche perché sono persone che si isolano o che vengono isolate. Quindi è una realtà sommersa; persone che si trovano in mezzo a noi, magari abbandonate su una panchina, sulla strada nel pieno di un trauma post-tortura di cui vediamo solo il lato esteriore, una sofferenza di cui magari non si comprende bene la natura.

D. - Qual è l’impegno di Amnesty International?

R. - Nella giornata del 26 giugno noi continuiamo a livello globale a chiedere leggi contro la tortura, le chiediamo anche all’Italia. Chiediamo ai governi che hanno quelle leggi, di rispettale fino in fondo, chiediamo agli organi internazionali che si occupano di tortura di svolgere il loro lavoro attraverso, inchieste indagini internazionali, sanzioni e condanne. Vogliamo che ci si renda conto che la tortura nel XXI secolo è qualcosa di inaccettabile che colpisce decine e decine di migliaia di persone ogni anno e che deve essere sradicata una volta per tutte.

D. - Nonostante i numerosi solleciti l’introduzione nel Codice penale italiano del reato di tortura non ha visto ancora la luce. Come mai?

R. – Sono passati quasi 30 anni, da quando l’Italia avrebbe dovuto introdurre il reato di tortura nel Codice penale. Per tutto questo tempo Amnesty international e le altre organizzazioni che chiedevano quella modifica legislativa, si sono sentite dire che o del reato non c’è necessità, perché non c’è la tortura oppure ci sono già articoli del Codice penale che ricoprono in qualche modo questo reato oppure che se venisse introdotto il reato di tortura sarebbe colpevolizzata l’intera polizia come organo, come corpo, quando in realtà è il contrario: il reato di tortura consentirebbe di isolare, individuare le responsabilità singole evitando quello stigma ingeneroso e non vero, tra l’altro, secondo il quale è la polizia in quanto tale che tortura. Finché non sarà così, purtroppo, rimarrà la possibilità che persone appartenenti ai corpi dello Stato responsabili di tortura che non sono state punite, siano ancora al loro posto e soprattutto nei casi di tortura sarà impossibile avere nel Codice penale quella sanzione che dovrebbe essere adeguata alla gravità del crimine commesso. (Radio Vaticana)

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