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Giornalismo e le incognite della rete: per Damilano la rivoluzione è solo all’inizio

Emiliano Amato Mauro Berti
Pubblicato il 14-09-2017

«La verità, quando è venuta al mondo, venne crocifissa».Marco Damilano, per il suo esordio al Cortile di Francesco, nell’incontro con i giornalisti sul futuro – ma soprattutto il presente – dell’informazione, sceglie i riferimenti della sua formazione cattolica. Dalla Sala Stampa del Sacro Convento di Assisi il vicedirettore de L’Espresso offre spiegazioni alla crisi attuale del mondo dell’informazione, al potere della rete e dei social col fenomeno delle fake news, partendo da lontano, mettendo a confronto due termini da sempre utilizzati nel linguaggio politico, economico e giornalistico: riformae rivoluzione.

Per lui la riforma per antonomasia è quella protestante di Martin Lutero con l’affissione delle 95 tesi sulle porte della cattedrale di Wittenberg che provocarono una scossa religiosa senza non poche ripercussioni anche di carattere politico. Qualche anno prima, nel 1455, l’invenzione della stampa a caratteri mobili da parte di Gutenberg, diede inizio a una rivoluzione. «Chi aveva tra le mani un libro – spiega Damilano -  pensava di aver visto tutto, ma era solo l’inizio di una rivoluzione».

«Anche nel giornalismo è così: sappiamo com’è cominciata, ma non come finirà» dice e tira fuori una lettera manoscritta inviatagli da un lettore di 95 anni di Cassano delle Murge, in provincia di Bari. «C’è ancora chi prende carta e penna e scrive lettere – dice con una punta di contentezza il giornalista – dovrò rispondergli anch’io con carta e penna, una busta da affrancare e spedire perché non ha e-mail o facebook». «È un mondo (quello odierno) in cui il lettore e il telespettatore ha la possibilità di partecipare in prima persona e il giornalista che aveva accesso ai posti in cui altri non potevano andare (fa l’esempio della Camera dei Deputati o dei luoghi di guerra) e con le sue foto, il suo taccuino raccontava ai lettori ciò che vedeva, oggi è bombardato dopo pochi minuti dall’uscita del suo articolo in rete».  «L’innovazione ha stravolto questa professione annullando lo spazio e il tempo e dal mito dell’agorà democratica che ci avrebbe arricchito, la rete è diventata nel giro di pochissimi anni un luogo in cui non si discute tra diversi ma tra tifoserie» aggiunge.

Damilano è sicuro che sono due le speranze del giornalismo moderno: la memoria e la profondità.



«L’appiattimento della società sull’attualità è il male del giornalismo – sostiene – Noi non ricorderemo più nulla della settimana scorsa e con questo pensiero di essere sempre in un evento senza precedenti ci giocano molti politici».



«La profondità è collegata alla memoria ma è una scrittura non sciatta che supera sé stessa per controbattere la superficialità dell’informazione. La rivoluzione è solo all’inizio». Parola di un maestro di giornalismo.

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