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Francescanesimo: Dal nipote di Gengis Khan per conto del Papa

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

I francescani che nei secoli XIII e XIV giungono fino al Cathay compiono un’impresa straordinaria, mai più tentata dopo il crollo dell’impero romano. I seguaci dell’Assisiate, infatti, dopo gli sporadici tentativi operati in epoca romana, risultano tra i primi occidentali capaci di infrangere i confini dello spazio asiatico, attratti dal disegno di riprendere i contatti con l’Oriente estremo.

Questi pionieri, decisi a sfidare l’inedito, si trovano costretti ad affrontare problemi fino ad allora ignoti, per la cui soluzione difettano di confronti immediati, sprovvisti del conforto di un’esperienza già consolidata, frutto di una rassicurante tradizione. Essi, perciò, si scoprono a sperimentare l’impatto con il nuovo, l’inconsueto, l’estraneo. I contemporanei di san Francesco infatti nutrono dimestichezza con le regioni dell’Asia anteriore, costellata di comunità cristiane congiunte in parte alla sede romana da vincoli di comunione ecclesiale, con le quali intessono legami di certa familiarità. Essi su quegli stessi territori entrano in contatto anche con il mondo islamico, sebbene l’impresa crociata ne comprometta irrimediabilmente i rapporti.

Nell’immaginario dell’Occidente medievale, invece, assolutamente sconosciute si profilano le vaste contrade del lontano Oriente a nord dell’Himalaya, comprese tra la Siria e la Corea e completamente assoggettate al potere immenso ed effimero dell’impero mongolo.

Il primo inviato papale in Mongolia è il francescano Giovanni da Pian del Carpine, il quale, già impegnato da san Francesco sul limes settentrionale della Germania, riceve ora l’incarico di contattare Batu, nipote di Gengis Khan, conquistatore della Russia e capostipite del futuro khanato dell’Orda d’oro. (Giuseppe Buffon - Osservatore Romano)

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