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ARTE, MUSICA, SPORT: STRUMENTI PER INTEGRARE E RENDERE POSSIBILE IL FUTURO DEI MIGRANTI

Domenico Marcella
Pubblicato il 19-12-2017

Da bene confiscato alla ‘ndrangheta a simbolo di legalità

Abbiamo tutti un po’ imparato a familiarizzare con questo acronimo che non è più soltanto un termine riservato agli addetti ai lavori. Lo Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) è un modello di accoglienza sempre più diffuso su tutto il territorio nazionale. Sono svariate le storie virtuose di queste piccole-grandi realtà che contribuiscono a offrire ai migranti che sbarcano in Italia – lasciandosi alle spalle violenza e soprusi –  un ottimo livello di integrazione. Fra i tanti modelli di Sprar, abbiamo scelto Villa Amantea, un’associazione nata a Milano nel 1983 per fronteggiare l’emergenza dell’emarginazione giovanile. «In quel momento il problema più diffuso era quello della tossicodipendenza; siamo stati per anni un’alternativa alla droga, quasi una sorta di prevenzione, poiché abbiamo creato degli spazi di incontro e integrazione, attraverso la musica, l’arte, la cultura e lo sport, mezzi per distogliere i ragazzi da quella minaccia», spiega Francesca Iacuzzo, operatrice della realtà associativa. 

E poi avete continuato. 


Sì. Nel 1990 abbiamo aperto uno sportello di assistenza legale gratuita agli immigrati, ma nel 2011 abbiamo scelto di occuparci a tutti gli effetti di accoglienza. Oggi abbiamo all’attivo due progetti Sprar, con il Comune di Trezzano, in diverse strutture: tre per minori non accompagnati, due per neo-maggiorenni. Abbiamo anche un progetto per l'accoglienza di adulti, in collaborazione con la Diaconia Valdese, nell'ambito del quale gestiamo un appartamento che ospita quattro donne. 


Impossibile girarci intorno, a far rumore sono soprattutto le strutture confiscate alla ‘ndrangheta nelle quali operate. 


Le strutture confiscate sono due: Villa Pitagora a Trezzano sul Naviglio e la villa di Nearco a Buccinasco. Quest'ultima è sede di una comunità familiare nata nell'ambito del progetto Sprar del Comune di Trezzano, con la partecipazione del Comune di Buccinasco, a cui è stato affidato il bene. Questa villa ci appartiene per metà, l’altra, infatti, è ancora della famiglia del boss tornato in libertà dopo aver scontato i suoi anni di pena. Nella nostra comunità vivono sei minori stranieri non accompagnati e insieme a loro due volontari, Sandro e Daniela, che seguono i ragazzi quasi fossero due genitori, occupandosi della loro tutela e delle loro necessità. Essendo ormai un luogo simbolo di legalità, inoltre, organizziamo diverse iniziative antimafia. 


Come vivono i ragazzi? 


Bene, direi. Sono quotidianamente impegnati in una serie di attività che comprendono corsi di lingua italiana, percorsi di formazione lavorativa e attività sportive come il calcio e il rugby. 


Il territorio nazionale è costellato da Sprar. Sembra essere un modello vincente. 


Il modello Sprar può essere un buon sistema di accoglienza perché offre, sopratutto ai minori non accompagnati, la possibilità di avere nella loro quotidianità dei riferimenti solidi; hanno enormemente bisogno di una tutela massima per evitare che rimangano da soli e allo sbando. Con la diffusione in ogni regione degli Sprar, questi ragazzi possono avere una seconda possibilità di vita a tutti gli effetti. 


I luoghi comuni che aleggiano sugli immigrati sono di un’atrocità inaudita. 


Ai danni degli immigrati si compie una campagna di disinformazione pericolosa, che va oltre le fake news; anche la politica, per esempio, sbagliando il linguaggio, dipinge un quadro  inesistente. I numeri reali degli immigrati presenti sul suolo italiano sono nettamente diversi da quelli che vengono sbandierati per bieca propaganda elettorale. Non vi è alcuna invasione, abbiamo numeri molto più bassi di altri paesi europei che gestiscono meglio l’emergenza. Esiste, inoltre, una sorta di razzismo di ritorno perché abbiamo dimenticato il nostro passato di emigrazione. La storia, infatti, narra di numerosi italiani costretti a lasciar la propria casa per fame, per miseria, per la voglia di emergere. Va detto, quello dell’emigrazione è un fenomeno che ci sarà fino a quando ci saranno disuguaglianze tra le varie parti del mondo. 


Per annientare i luoghi comuni? 

Basterebbe avvicinarsi alla loro realtà, fare del volontariato, chiacchierare con i ragazzi delle comunità per rendersi conto della normalità della situazione. Posso aggiungere un particolare? 


Prego. 

Il bene più grande che si possa dare a questi ragazzi è l’amicizia; vanno ascoltati, perché attraverso l’ascolto si sgretolano tutte le nostre più sciocche certezze. Opero nel campo ormai da anni, ma non mi sono sentita artefice di un cambiamento altrui. Non è una esperienza unilaterale, ma uno scambio reciproco. Siamo cresciuti insieme, in un clima di perfetta condivisione. 


Gli immigrati sono il sale della nuova società? 


Sì, perché ci insegnano ad avere speranza, a comprendere il senso e il valore dei diritti e dei doveri, e a smentire proprio tutti i luoghi comuni che circolano in maniera ossessiva. 


Quali sono i punti di forza della vostra missione? 


La costanza, l’impegno e la voglia di fare. E poi l’orgoglio di essere riusciti a trasformare dei luoghi un tempo negativi come le ville confiscate, in un simbolo di speranza, amicizia e legalità. C’è un murales sul muro della nostra struttura di via Nearco che rappresenta una barchetta sovrastata da un messaggio potentissimo: “Bene confiscato, qua la mafia ha perso”.

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