Trump e i suoi muri

di Don Felice Accrocca

A quanto pare Donald Trump ha preso a fare sul serio, autorizzando la costruzione di una barriera nei confronti del Messico, poiché “una nazione senza frontiere non è una nazione”; “e noi oggi – ha sentenziato – ci riprendiamo la frontiera”. L’illusione che problemi complessi possano risolversi in modo semplice è dura a morire e molti politici non hanno scrupoli nel cavalcare la tigre, sempre che questa non finisca per disarcionarli. Sì, perché – piaccia o no – negli Stati Uniti come da noi si andrebbe subito a fondo senza tanti lavoratori provenienti da fuori nazione: l’unica volta che sono stato negli Stati Uniti tutti gli addetti alla pulizia delle camere parlavano spagnolo; lo stesso può dirsi per tante cose di casa nostra. Un’accoglienza motivata da puro calcolo, allora? No! Ritengo sia necessario costruire ponti più che innalzare muri, per una solidarietà piena, rispettosa delle leggi e capace di valorizzare doni diversi. Torna in mente, a questo proposito, un episodio della vita di san Francesco. Scrisse infatti Tommaso da Celano che, dimorando il santo e i suoi a Rivotorto, passò un giorno poco lontano da loro, “con grande strepito e pompa”, l’imperatore Ottone che si recava a Roma, a ricevere “la corona dell’impero terreno”; Francesco non volle neppure uscir fuori dal suo tugurio per vederlo, né permise che lo facessero i suoi, eccetto uno il quale doveva annunciare con fermezza all’imperatore “che quella gloria sarebbe durata per poco”. Sì, quanto più si sale in alto tanto più può essere rovinoso il tonfo al momento della caduta…