L’ispirazione musicale del sacro

di Andrea Ceccomori

Nel precedente testo sia faceva riferimento ad una musica ispirata come guida e garanzia di una sacralità della stessa. Certamente la musica sacra, per essere tale, deve essere ispirata. Ma ispirata da chi o da cosa? Quando il compositore si mette all’opera per creare una musica, qualsiasi essa sia, normalmente procede per vie diverse e varie: chi si ispira al motivetto, chi da un soggetto esterno, un’esperienza vissuta, un’emozione quando va bene, ma spesso è una tecnica compositiva che è diventata cifra personale. Ma in questa maniera di creare, molto soggettiva direi, non c’è alcuna differenza tra sacro e non. Dov’è allora la differenza? Questo genere di creazioni non dà alla musica il vero carattere sacro. Per arrivare a ciò è necessario probabilmente un ascolto interiore ispirato ad una presenza di Dio nel proprio essere, una concentrazione ed una elevazione dello spirito alle più alte vette del cuore e della mente. Ponendo la mente e il cuore in sintonia e in armonia con lo spirito, il musicista può accedere ad un ascolto che risuona di questa presenza, apparentemente silenziosa, ma ricca di suoni, movimento e vita.

Questo “ascolto dell’ascolto” per cosi dire, genera il mondo dei suoni da cui il musicista può cogliere a piene mani i frutti di tale condizione. Questa condizione di ascolto è in sintesi ciò che Assisi Suono Sacro (il progetto fondato dal sottoscritto) vorrebbe porre a fondamento della propria natura chiamandola Suono Povero. Più avanti, come anticipato, verrà pubblicato il “Manifesto per un suono povero” che esprime proprio questo concetto. Infatti è proprio l’Ispirazione la via da seguire per il suono povero, che diventa ricco, proprio in virtù della sua spoliazione, ma torneremo su questo argomento. Dunque quando il musicista si ispira attraverso la preparazione e la concentrazione a verità teologicamente e spiritualmente valide, l’orecchio inizia a “produrre suoni”, o “sentire musica” potremmo dire, che sono la diretta espressione e la risposta dell’ animo umano di fronte a tali verità. “Ciò di cui non si può parlare si deve cantare” diceva Sant’Agostino oppure “chi canta prega due volte”: queste citazioni ci fanno riflettere sul fatto che la musica sacra deve andare oltre il naturale rapporto tra il musicista e i suoni e deve porsi in quella condizione soprannaturale di ineffabilità e impossibilità: in questo oltre si dà accesso alla santità passando quindi dalla dimensione del sacro a quella del santo, di cui però non possiamo parlare.

I più grandi capolavori della storia della musica sacra occidentale, dal gregoriano a Palestrina alle messe di Bach o Verdi, hanno posto in luce l’elevazione dello spirito attraverso la perfezione della grande arte e tecnica della musica. In questo perfezione stava la sua sacralità. Oggi credo che dovremmo, ed è un invito che rivolgo soprattutto ai colleghi musicisti, tentare un passo ulteriore oltre la tecnica, pur sempre valida: entrare nel sacrario del tempio e fare in modo che la musica passi attraverso, e grazie alla nostra coscienza purificata dalla luce del Mistero, proprio come Wagner o Scriabin forse avrebbero voluto che fosse…