Il Linguaggio e il codice musicale del sacro

di Andrea Ceccomori

Abbiamo parlato nei precedenti capitoli della ispirazione del sacro in musica e di una sua possibile estetica. Ora la domanda fondamentale quasi automatica che ci poniamo è: il sacro ha un proprio codice linguistico musicale attraverso cui esprime se stesso e comunica in modo univoco? Ovviamente è una domanda a cui è difficile rispondere in maniera netta e precisa, in quanto ha a che fare con la universalità della musica e con una possibile oggettività nell’arte e nella cultura. Diciamo subito che si è parlato spesso nella storia dell’arte e della religione di una possibile oggettività nell’arte, vale a dire della sua capacità di comunicare un medesimo oggetto valido per tutti e ovunque e quindi universalmente riconosciuto. Ma sappiamo invece che proprio la musica che conosciamo comunemente è legata a stati d’animo differenti sia nella creazione che nella fruizione, e soprattutto a percezioni differenti sia a livello individuale che collettivo che di cultura o popolo. Wagner in “Religione e arte” aveva tentato questo percorso di redenzione attraverso la musica dicendo che proprio essa aveva il compito di traghettare il tempio musicale in tempio dello spirito. Tornando alla universalità della musica desidero citare un esperimento emblematico a riguardo, fatto dall’amico compositore Orlando Garcia che aveva proposto all’ ascolto una musica citandone il titolo, e successivamente lo stesso brano non citandone il titolo: il risultato dell’ascolto è stato completamente differente nei due casi provocando sensazioni contrarie se non addirittura opposte: questo a significare la capacità e il potere decisionale del fruitore nell’attribuire significato alla musica. Sul significato della musica molti studiosi hanno cercato di trovarne le ragioni: dall’antichità filosofi e più avanti musicologi come Schneider, Combarieu, Jankelevic, Steiner, si sono avvicinati ad una semanticità della musica pur tuttavia non cogliendone una assoluta scientificità, nel senso che la musica si avvicina alla verità di un significato univoco ma non ne esprime la sua universalità. Se vogliamo, la musica, come tutta l’arte, vive nel paradosso dell’impossibile-possibile, senza il quale non si darebbe appunto l’arte, ma la matematica. Ora per sapere come una musica sacra parla al cuore e all’anima dell’uomo, tema specifico di questo capitolo, bisogna ricorrere a delle intuizioni che guidano insieme l’artista e l’ascoltatore verso i reami del sacro secondo le proprie visioni e gradi evolutivi. Sempre intuitivamente potremmo definire il codice del linguaggio musicale sacro come qualcosa che ha valore nella comunità di destinazione, un valore convenzionale d’uso in cui viene riconosciuto e condiviso dai più un significato comune. Pur tuttavia credo che possa esistere una universalità, ossia un codice che parli una lingua musicale per tutti uguale con la stessa triade segno-suono-significato. Si tratta di un percorso di ricerca che vorremmo tentare proprio qui ad Assisi, che affonda le radici nella introspezione profonda e nella capacità di spogliarsi di sé alla ricerca di un suono povero ( già citato nei precedenti capitoli) e sul quale mi dilungherò nelle prossime puntate. Per citare alcuni barlumi di codici musicali, abbiamo molti segni e suoni convenzionali (come per esempio nel gregoriano o in certa musica contemporanea) che simulano certe analogie in cui, per esempio, un segno con una direzione in verticale significa elevazione o più note in parallelo o lineari significano appunto linearità o flusso: ma si tratta di analogie che probabilmente sono quelle che si avvicinano di più ad una universalità. Quando parliamo di sacro infatti dobbiamo parlare di universalità altrimenti parliamo di relativismo e quindi non potremmo definire un codice sacro della musica. Molti compositori come Arvo Part o molti autori dell’est europa ( Richter, Kancheli, Gubajdulina, Silvestrov) si avvicinano al sacro per esempio attraverso suoni rarefatti, strutture semplici, poche note in perfetta armonia tra loro a suggerire uno stato di quiete in cui far affiorare appunto la spiritualità: possono sicuramente essere considerati autori del sacro, sperando sempre che un aborigeno australiano o un masai africano riescano a coglierne la profonda intensità per dare a queste musiche carattere universale.