Costruiamo nuovi ponti

di Silvia Ceccarelli

“Come un ponte colma il vuoto, così la fiducia ci consente di superare le asprezze della vita”.

Questo è soltanto uno dei tanti messaggi che rimarranno impressi nella nostra memoria sul finire (quasi) di un anno segnato dall’evento tragico del crollo di un ponte che ha rappresentato, e rappresenta ancor oggi, per la città di Genova e i genovesi tutti (ma non solo), un nodo di scambi tra levante e ponente, una linea di collegamento tra mare e terra, tra gente di luoghi e di città disparate. Ora come ora disperate. È stato un crollo doloroso, inaspettato, che ha colpito nel cuore una città che ha perso così uno dei simboli più imponenti e significativi.

Perché il ponte ha pure, non dimentichiamolo, un significato simbolico. Non si tratta semplicemente di una struttura costruita con materiali più o meno resistenti, fatta magari d’acciaio o calcestruzzo. Il ponte è altro. Il ponte unisce, sul ponte passano ogni giorno e senza sosta macchine, merci, beni e ricchezze d’ogni genere e per tutti i generi.

Sul ponte transitano persone, come in quel maledetto giorno. Tutte con una storia diversa alle spalle, eppure con lo stesso destino. Destino che in quel momento le ha sottratte alla vita, alla meta verso la quale si stavano incamminando. C’era chi, tra di loro, stava per raggiungere il luogo di villeggiatura, chi invece, dopo aver terminato l’orario lavoro – di un lavoro capitato per fortuna proprio nel corso della stagione estiva – stava facendo rientro a casa.

E poi quelle giovani vite, affacciatesi da poco alla luce e consegnate alla morte da un fato che, non si sa per quale bizzarra combinazione di eventi, si fa sempre troppo beffa degli uomini. Ogni volta che crolla un ponte – evento ahimé non infrequente nel nostro Paese –, le conseguenze non sono percepibili solamente in termini di lamiere che cadono giù a pezzi, a corpi senza vita o a case da ricostruire di nuovo, si tratta di un qualcosa che va oltre, di un qualche cosa che scuote le nostre coscienze, che risuona nella nostra sfera psicologica e mentale.

Quando accadono eventi di questa entità, ciascuno è chiamato a riflettere sulla fragilità dell’esistenza umana, e sul valore – prezioso – dei rapporti umani, che ci rendono persone migliori nonostante gli errori o le cattive abitudini che non di rado c’inducono a ferire, sia pure involontariamente, le persone che amiamo. Quand’anche il nostro Papa invita gli uomini a prendersi cura del Creato, egli invita tutti, nel contempo, a prendersi cura di tutto ciò che l’uomo stesso ha creato. Ecco allora che l’impegno di chi ha in mano le sorti del nostro Paese, e dei suoi cittadini, è quello di salvaguardare e mettere in sicurezza tutti quei beni affinché in futuro non accadono tragedie simili.

Sorprende che, in qualsiasi fatto che accade nella nostra realtà quotidiana ritornino utili gli insegnamenti francescani per leggere e capire la natura delle cose. Mi viene in mente San Francesco quando, udita la voce di Dio, si mise all’opera per ricostruire la chiesetta di San Damiano ormai in rovina. Alziamoci, dunque, pronti anche noi a ricostruire. E a ripartire.