Che vinca l'uno o l'altro domattina presto io debbo sempre andare al lavoro

di Don Felice Accrocca

Alla fine, gli Stati Uniti hanno votato. Si chiude così una campagna elettorale lunghissima, combattutissima e costosissima, che vedrà moltissimi alle prese con le conseguenze di questa scelta e molti di meno – già ricchi e potenti – presentare il conto al vincitore, sul quale hanno investito mezzi e fortune con l'unico obiettivo che quelle fortune potessero moltiplicarsi. «Tanto – diceva mio nonno in circostanze come queste –, che vinca l'uno o l'altro domattina presto io debbo sempre andare al lavoro!». Ecco l'errore, in quella risposta che allora sembrava saggia… E perché non è più sicuro che domani si avrà ancora il lavoro di oggi e perché quella scelta investe anche noi, il nostro presente e il nostro futuro, in questo villaggio globale che ormai ci lega tutti, volenti o nolenti, noi stirpe di Adamo. All'eletto ripeto perciò quel che Francesco scriveva ai «podestà e ai consoli, ai giudici e ai reggitori di ogni parte del mondo», a coloro, cioè, che hanno in mano il destino dei popoli, e dunque una responsabilità più grande, e ai quali sarà richiesto dal Signore molto di più, perché molto è stato loro affidato. Francesco non difetta di franchezza. Anzitutto, ricorda ai suoi interlocutori una verità innegabile: «Considerate e vedete che il giorno della morte si avvicina». Già! Troppe volte gli uomini – poveri o ricchi, deboli o potenti che siano – vogliono chiudere gli occhi davanti alla realtà della morte e di quel che ne segue, tanto che l'argomento è divenuto tabù. Vivere fino a stordirsi, fino allo sballo, senza pensare che un giorno tutto dovrà fatalmente finire, poiché quando l'uomo perde la prospettiva dell'eternità cade sotto la tirannia del tempo. E poiché il tempo è tiranno, è meglio non fermarsi a riflettere quanto velocemente esso scorra. All'eletto – meglio, a me e a lui – io, che non sono nessuno, ricordo queste parole piene di saggezza: a Dio dovremo rendere conto… «Considerate e vedete», dice Francesco. Cioè, non chiudete scioccamente gli occhi di fronte a questa realtà che non risparmia nessuno («vedete») e pensate al modo migliore per dare un senso alla vostra esistenza e guadagnarvi l'eternità («considerate»). E prosegue con la stessa franchezza, perché il medico pietoso fa la piaga purulenta: «Perciò vi prego con tutta la riverenza di cui sono capace, che a motivo delle cure e preoccupazioni di questo mondo, che voi avete, non vogliate dimenticare il Signore né deviare dai suoi comandamenti, poiché tutti coloro che dimenticano il Signore e si allontanano dai suoi comandamenti, sono maledetti e saranno dimenticati da lui. E quando verrà il giorno della morte, tutte quelle cose che credevano di possedere saranno loro tolte. E quanto più sapienti e potenti saranno stati in questo mondo, tanto maggiori tormenti patiranno nell'inferno» (vv. 3-5). Dunque, non dimenticare il Signore né deviare dai suoi comandamenti. Sembra la scoperta dell'uovo di Colombo, eppure è una franchezza e un coraggio che spesso ci manca, portati come siamo a piegarci ai potenti, a essere indulgenti con loro, almeno quando ci stanno davanti. Perché se è vero che non avremo mai l'occasione di dire certe cose al Presidente degli Stati Uniti potremo però ricordarle al Consigliere Comunale o all'Assessore del paese, al Consigliere di Circoscrizione e così via, insomma alle persone che abbiamo a portata di mano, e alle quali, forse, tali cose non diciamo perché impegnati con mezzi o mezzucci a chiedere loro piccoli favori o deroghe alla legge, che dovrebbe essere invece uguale per tutti. Francesco chiede dunque, ai governanti (dunque, pure al Presidente eletto), che facciano «vera penitenza», cioè che si convertano, siano onesti e vivano al meglio il loro servizio, quali veri dispensatori di giustizia. Chiede loro che si ricordino dei poveri, perché sono essi, i poveri, a rappresentare quel Signore che i governanti non devono dimenticare, e facciano leggi sagge, che non offendano la legge di Dio, perché arrecare a Lui oltraggio vorrebbe dire, inevitabilmente, mettersi sotto i piedi anche l'uomo. Fare «vera penitenza» vuol dire poi impegnarsi a lavorare assiduamente per la pace, perché di questo – a lui, cioè al Presidente, come a noi, ognuno per la sua parte – Dio chiederà conto!