Amare nonostante la sventura del male

di Edoardo Scognamiglio

Il terrorismo, come ogni altro fondamentalismo – religioso e non –, è un’ideologia molto pericolosa che mette in pericolo la vita delle persone, fino a distruggere la dignità di un’intera comunità. La forza del terrorismo è data dal senso di onnipotenza che s’instilla nella mente e nel cuore dei terroristi nel momento in cui si riconoscono degli inviati prescelti per una missione unica e irripetibile, soprattutto se tale compito è affidato direttamente da Dio.

La risposta al male, alla violenza, a ogni terrorismo, è data solo dall’amore, dalla volontà di continuare ad amare nonostante tutta la violenza sparsa per il mondo. Prendo queste mie parole da un brano che qui riporto in forma libera della grande filosofa e poetessa ebrea Simone Weil. «Il grande enigma della vita umana non è la sofferenza, è la sventura» (Simone Weil). Non c’è da stupirsi che degli innocenti siano uccisi, torturati, cacciati dal proprio paese, ridotti in miseria o in schiavitù, chiusi nei campi di concentramento o in carcere, dal momento che esistono i criminali capaci di compiere tali azioni. Non c’è nemmeno da stupirsi che la malattia infligga lunghe sofferenze che paralizzano la vita e ne fanno un’immagine della morte, dal momento che la natura soggiace a un cieco gioco di necessità meccaniche. Ma c’è invece da stupirsi che Dio abbia dato alla sventura il potere di afferrare l’anima degli innocenti e di appropriarsene da padrona assoluta (cf. S. WEIL, Attesa di Dio [1966], traduzione di O. Nemi, Rusconi, Milano 1972, 81-101).

La risposta di Gesù, crocifisso e maledetto da Dio e dagli uomini, dinanzi al male e alla sventura, è di continuare ad amare nonostante tutto, sempre e fino in fondo, sino alla fine, versando l’ultima goccia di sangue. Gesù non è stato uno sventurato: perché ha continuato ad amare, a perdonare, a compatire, rimettendo tutto nelle mani del Padre. Non si può accettare l’esistenza della sventura se non considerandola come una distanza. Dio ha creato per amore e ai fini dell’amore e ama a tutte le distanze, anche mentre il Figlio è sulla croce. Ogni atto di violenza, qualsiasi azione disumana – guerre, soprusi, attentati – va combattuta con l’amore, con la forza di Cristo che sulla croce ha compatito con i derelitti del mondo e ogni giusto perseguitato e calunniato, ucciso e sfigurato nel volto e nell’anima. Dio ci ha creati come esseri capaci di amare a tutte le distanze possibili. Egli stesso, in Cristo, poiché nessuno poteva farlo, è andato alla distanza massima, alla distanza infinita. Questa distanza infinita fra Dio e Dio, strazio supremo, dolore che non ha pari, miracolo d’amore, è la crocifissione. Nulla può essere più lontano da Dio di ciò che è stato reso maledizione.

Gli uomini e le donne colpite dalla sventura – come le vittime dell’ultimo attentato a Parigi e a Beirut, ad Aleppo e Gerusalemme – sono ai piedi della croce, quasi alla massima distanza possibile da Dio. Non bisogna, però, credere che il peccato sia una distanza maggiore. Il peccato è una distanza. Il male è la distanza assoluta, un cattivo orientamento dello sguardo e delle nostre intenzioni. Per vincere questa distanza dobbiamo ricondurre i nostri sguardi e pensieri, azioni e gesti, a colui che hanno trafitto e posto sulla croce. Durante gli attacchi bruschi del male dobbiamo ancor di più mantenere gli occhi rivolti a Dio: perché la Provvidenza non è assente, ma opera in noi e con noi tutte le volte che pensiamo con fiducia e stiamo dalla parte del bene che non fa rumore e chiede il nostro contributo per muoversi, per accendersi e riscaldare i cuori sia degli innocenti che dei malfattori.