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Incubo ebola in Africa, la corsa per fermare la diffusione

Redazione
Pubblicato il 30-11--0001

Più di 220 contagi, 135 casi di morte: con quasi l’80% delle diagnosi confermate dalle indagini di laboratorio. Sebbene, come si affretta a far sapere l’Organizzazione Mondiale della Sanità, «non si tratti della più grande epidemia di ebola mai affrontata», l’elevato numero di contagi registrato negli ultimi due mesi tra la Guinea - mai toccata prima dal virus, scoperto per la prima volta nel 1976 nella Repubblica Democratica del Congo e diffuso a più riprese nell’Africa centrale - e la Liberia non lascia dormire sonni tranquilli a infettivologi ed epidemiologi, da febbraio al lavoro per individuare il serbatoio naturale dell’infezione e arrestare la diffusione del virus. Secondo le prime indagini, sarebbero quasi 700 le persone venute a contatto con i pazienti contagiati. Un dato che, oltre a essere difficile da appurare con certezza, rende l’idea della possibile espansione dell’ebola, condizionata anche dall’infrequente diffusione dell’agente virale nelle grandi città.

A rischio sono soprattutto gli operatori sanitari - in Guinea 24 medici e infermieri sono stati contagiati e 13 sono poi deceduti - e gli addetti alle sepolture. Il virus, contro cui non esiste un vaccino efficace, si trasmette tra esseri umani principalmente attraverso il contatto con sangue e altri fluidi biologici infetti. L’origine dell’epidemia non è nota, ma i sospetti riguardano soprattutto la cacciagione locale: probabile fonte primaria dell’infezione. Dalle indagini è emerso invece come la maggior parte dei “casi secondari” avesse partecipato a cerimonie funebri: entrando in contatto con pazienti deceduti o persone infette. Tenendo conto che l’ebola può avere una incubazione massima di 21 giorni, l’identificazione di nuovi casi nelle prossime settimane non è dunque da escludere, soprattutto tra le popolazioni guineane e liberiane.

Quanto all’Europa, invece, al momento non si segnalano particolari allarmi. Come spiega Flavia Riccardo, ricercatore dell’unità di epidemiologia dell’Istituto Superiore di Sanità, «il rischio di infezione per turisti, visitatori o residenti nelle aree affette è considerato molto basso, purché si eviti il contatto diretto con organi e secrezioni biologiche di persone infette: vive o decedute». Motivo per cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità non raccomanda, al momento, restrizioni di viaggi e movimenti internazionali di persone, mezzi di trasporto e merci. Rassicurante anche la posizione del Ministero della Salute, che precisa «di aver fornito istruzioni agli uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera e a tutte le amministrazioni che si occupano dei migranti irregolari».

«Finora le epidemie di ebola non si sono mai estese oltre un raggio di poche decine di chilometri dal punto in cui si sono generate», afferma Massimo Galli, ordinario di malattie infettive all’Università Statale di Milano. La probabilità che un viaggiatore possa contagiarsi è dunque trascurabile: le aree interessate sono fuori dai circuiti turistici e le condizioni necessarie per il contagio - il virus non viene veicolato dagli insetti e non può essere contratto per via aerea - escludono una rigida profilassi. Alcune precauzioni risultano comunque utili, per chi avesse in programma un viaggio in Africa occidentale: meglio evitare il contatto con animali selvatici e il consumo di cacciagione. Attenzione anche sotto le lenzuola: la trasmissione del virus per via sessuale (attraverso il liquido seminale) può avvenire anche sette settimane dopo la guarigione. No, dunque, ai rapporti a rischio. La Stampa

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