fede

'Nell'amata Siria combattiamo la guerra con il bene'

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

“Domenica scorsa ho agitato con tutto me stesso la palma della pace, mentre ero in piazza san Pietro, durante la celebrazione delle Palme con Papa Francesco. Ho pregato per la fine della guerra in Siria. Riporterò questo ramo con me ad Aleppo come una reliquia. Le Palme segnano l’inizio della Settimana Santa, quella della Passione di Cristo, ma gli occhi dei fedeli siriani sono già rivolti alla Resurrezione. Guai se non fosse così. La Via Crucis che stiamo vivendo nel nostro Paese, altrimenti, non avrebbe senso”. Padre Joseph Bazouzou, parroco armeno cattolico della chiesa della Santissima Trinità di Aleppo, racconta così la sua Pasqua, quella che i cristiani di Siria si apprestano a vivere dopo tre anni di conflitto che ha seminato oltre centomila morti e milioni tra rifugiati e sfollati. E le ultime notizie non sono confortanti: un bambino morto, 61 feriti tra bambini, genitori e professori, è il tragico bilancio del razzo caduto il 15 aprile sulla scuola armeno-cattolica di Damasco, nel quartiere storico di Bab Tuma, nella città vecchia, dove sono concentrate molte chiese e scuole cristiane. E si parla di nuovo di attacchi chimici.

Il parroco con voce ferma. “Ci incoraggiano le parole di Gesù, chi vuole seguirmi prenda la sua Croce. Accettiamo le sofferenze che ci arrivano, perché dopo la Croce c'è la salvezza”. E racconta la Via Crucis della sua piccola comunità, ridotta ormai a poche famiglie. “La nostra Chiesa è stata colpita tre volte, sempre durante le messe. La cupola ha retto ogni volta ma i vetri sono andati in frantumi. Sentivamo spari e boati all’esterno ed io chiedevo ai miei fedeli ‘State tutti bene? Non preoccupatevi! Continuiamo a pregare’. Il miracolo è che ora ad ogni celebrazione viene sempre più gente. Se abbiamo paura? Certo che abbiamo paura! Abbiamo paura quando sparano, ma dobbiamo aver fiducia nel Signore e continuare a progettare il futuro. Lo dobbiamo ai nostri fedeli, ai sacerdoti e ai vescovi sequestrati dei quali non sappiamo più nulla. Anche per loro celebreremo la prossima Pasqua, non sappiamo come e quando, ma lo faremo”. Ritrovarsi in parrocchia - e non solo per le liturgie - è un modo per alimentare la speranza della comunità. Le parole di Papa Francesco, “non lasciatevi rubare la speranza!” sono una specie di mantra che i fedeli si ripetono tra loro costantemente. Dice padre Bazouzou: “Ascoltare il Papa che parla di 'mia amata Siria' ci rafforza nella nostra missione in questa Siria che a ben vedere oggi è l'estrema periferia del mondo. L'aiuto più grande che verifichiamo giornalmente come comunità cristiana ci sta arrivando dalla Parola di Dio. Ogni mese organizziamo delle meditazioni con le Scritture sulle persecuzioni, le sofferenze, sul significato del portare la Croce dietro Gesù”.

I primi a rispondere a questo invito sono i giovani. Erano in 1700, ad Aleppo, per vivere con i loro coetanei riuniti a Rio de Janeiro gli eventi finali della Giornata mondiale della Gioventù. E poi, per l’Anno della Fede, hanno animato in 200 una Via Crucis incentrata sul tema della speranza: “i giovani siriani non sono disperati, nutrono speranza grazie anche alla fede. Hanno fatto la fila per abbracciare la Croce posta all’interno della chiesa. Fuori, infatti, non potevamo stare perché pericoloso per i missili e le bombe. Vicino a tanti i giovani che sono partiti ce sono altrettanti che vogliono restare. Il nostro dovere per la salvezza della Siria è lavorare per la riconciliazione facendo del bene. Nutrire buoni rapporti, aiutarsi a vicenda - rimarca il parroco - è il nostro modo di difenderci dal male. In fondo la tradizione siriana è quella di un mosaico dove per secoli si è vissuti tutti insieme senza divisioni. Questo mosaico va ricomposto per il bene della Siria”.

Un aiuto atteso con speranza. Chissà che un aiuto non possa venire dalla prossima visita di Papa Francesco in Terra Santa. “Noi come siriani ci consideriamo Terra Santa - spiega convinto padre Bazouzou - sarà una benedizione per tutto il Medio Oriente. Gli ebrei vagarono nel deserto per 40 anni ma poi giunsero alla terra promessa. Non perdere mai la fede è nostro dovere. Il bene non fa rumore, ma fare del bene porta dei risultati”. Già ma intanto in Siria si vede solo morte e distruzione, si scorge bene il Calvario. Viene da chiedersi dove sia la Resurrezione, quel Sepolcro vuoto… “Noi quel sepolcro vuoto lo vediamo nel bene che fiorisce ogni giorno, nei semi di bene che nascono dal male, nei piccoli gesti di vicinanza, di aiuto, di conforto, di vite salvate dalle bombe, nei legami che nascono tra le macerie. Serve lavorare di più sul perdono, sul dialogo, sulla riconciliazione. La pace non viene senza il nostro impegno quotidiano. Accettiamo la nostra situazione non certo la guerra. Combattiamo la guerra con le armi del bene! Questa è Pasqua per noi!”. (agesir.it)

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