fede

Pasqua di Resurrezione, la morte che genera vita

Felice Accrocca
Pubblicato il 21-04-2019

Nessuna esistenza può esimersi dalla croce. La vita di Francesco è, anche da questo punto di vista, un esempio.

Celebrare sul serio la Pasqua vuol dire fare Pasqua, sperimentando nella propria carne il mistero di Cristo, costretti, come il chicco di grano, a morire per generare vita. Ogni esistenza è chiamata a questo e nessuna esistenza può esimersi dalla croce. La vita di Francesco è, anche da questo punto di vista, un esempio. Sofferenze non gli mancarono, al punto che l’elastico finì per rompersi. Le scene di disperazione a cui, nel celebre film (Francesco) di Liliana Cavani, egli si abbandona chiedendo insistentemente al Signore di parlargli non sono un’invenzione della regista, ma hanno fondamento nelle fonti.

Dai compagni del Santo veniamo a sapere infatti che egli attraversò terribili momenti di solitudine, fino ad essere assalito da una “gravissima tentazione”. “Interiormente ed esteriormente, spirito e corpo, ne era molto turbato tanto che alle volte fuggiva la compagnia dei fratelli, poiché, sopraffatto da quella tortura, non riusciva a mostrarsi loro lieto come era suo solito. Si mortificava astenendosi non solo dal cibo, ma anche dal parlare. Spesso andava a pregare nella selva vicino alla chiesa [di S. Maria degli Angeli], per dare più liberamente sfogo all’angoscia e al pianto in presenza del Signore”.

Non si trattò di un giorno né due, ma per ben due anni egli rimase in tale angoscia. È difficile determinare il contenuto di questa “gravissima tentazione”, e forse è anche per questo che di essa si conserva una memoria molto sfocata nella predicazione, nella catechesi, nelle scuole di preghiera. O forse perché meno di altre essa si presta al gusto del racconto edificante, che gode ancora di troppa fortuna? L’immagine di Francesco che si flagella per resistere a tentazioni lussuriose e poi si getta nudo nella neve è notissima, ma certamente fu molto meno lacerante di questa per il suo animo.

Il momento, difficilissimo, fu molto probabilmente superato sulla Verna, dove Francesco – dopo aver ricevuto dal fiammeggiante serafino le stimmate di Cristo nel suo corpo – comprese definitivamente che proprio la Croce, abbracciata totalmente e senza riserve, costituiva la via maestra per il superamento delle croci quotidiane. Comprese cioè che la croce (con la minuscola, vale a dire le varie sofferenze della vita) è più pesante senza la Croce (con la maiuscola, vale a dire la Croce di Cristo) e che dobbiamo sposarla, la nostra croce quotidiana, e non subirla, se non vogliano restarne schiacciati e mantenere inalterata la luminosità dello sguardo.

Fare Pasqua, anche per noi, vuol dire proprio questo: sposare quel che Dio ci dona di vivere ogni giorno, lasciare che gli eventi accadano, senza volerli modificare a nostro piacere, nella certezza che il morire a noi stessi porta in gestazione la vita di molti. Vuol dire mantenere il sorriso anche quando tutto sembra crollare, nella fiducia che quelle sofferenze portano, con il dolore, una grazia più grande. “Nulla, dunque, di voi [né soldi, potremmo dire, né tempo, ne spazi propri] trattenete per voi, affinché tutti e per intero vi accolga colui che tutto a voi si offre”, scrive Francesco nella Lettera a tutto l’Ordine. Che è come dire: “Fate Pasqua”, ovvero “Fate della vostra vita un dono per gli altri”.

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