rassegna

IL FOGLIO - Il fuoco di Cristo e di Prometeo. La rivelazione greca secondo Simone Weil

Redazione
Pubblicato il 30-11--0001

Già Kierkegaard sosteneva che Platone fosse stato il san Giovanni Evangelista di Socrate. Ma la filosofa ebrea e mistica Simone Weil, comunista antistalinista e cristiana "fuori della chiesa", si spinse oltre: nella raccolta di saggi "La rivelazione greca" (appena ripubblicata da Adelphi) non esita affatto a ritenere Platone profeta ed evangelista di un Cristo tanto venturo quanto già presente e noto alle manifestazioni più pure dello spirito antico. "La quantità di testi meravigliosamente belli e oggi totalmente incomprensibili contenuti nel Nuovo Testamento mostra con chiarezza che una parte infinitamente preziosa della dottrina cristiana è scomparsa"; questo perché c'è stata una chiusura dogmatica dovuta a quello che riteneva essere uno sciagurato asse Gerusalemme-Roma: "Sia i romani sia gli ebrei hanno creduto di essere sottratti alla comune miseria umana, i primi in quanto nazione scelta dal destino per dominare il mondo, i secondi per il favore del loro Dio e nella misura esatta in cui gli obbedivano". Invece "il Vangelo è l'ultima e meravigliosa espressione del genio greco, come l'Iliade ne è la prima". Ripercorrendo i poemi omerici - in cui i "momenti in cui gli uomini trovano la propria anima sono quelli in cui amano" - le tragedie attiche, i frammenti pitagorici e soprattutto i dialoghi platonici, l'attenzione della Weil dà letteralmente la caccia ai costanti, espliciti o impliciti riferimenti a un figura enigmatica, connessa col fuoco, col vino, con la luna che offusca il suo splendore, e che compare anche nella platonica "Trinità dell'Operaio, il Modello della Creazione e l'Anima del Mondo"; quest'ultima difatti viene letteralmente "crocifissa" al momento della creazione, accostandosi così "a Prometeo, a Dioniso, all'Amore, all'uomo perfettamente giusto della Repubblica", tutti intercessori che patiscono una sofferenza redentrice. L'Amore in Platone "ha voluto nascere figlio della Miseria" e "povero e vagabondo, uso a giacere al suolo, sulla nuda terra, fa pensare a san Francesco. Ma ancor prima di san Francesco, il Cristo era povero e vagabondo e non aveva ove posare il capo". Quello stesso Cristo che si diceva "venuto a portare un fuoco sulla terra", proprio ciò di cui si accusava Prometeo incatenato, il cui nome "significa letteralmente Provvidenza" e che è davvero per la Weil l'agnello biblico misteriosamente "sgozzato fin dalla fondazione del mondo". I greci dunque sapevano che tra la sofferenza umana e la gloria divina esiste qualcuno cui si riferiscono le diverse espressioni "via, espediente, strumento, proporzione", ma soprattutto "mediazione", ed è appunto così che la Weil proponeva di tradurre il celebre incipit proprio del Vangelo giovanneo, "in principio era la Mediazione". I greci tale Mediazione già la conoscevano, ed erano "perseguitati dal pensiero che faceva piangere un santo del medioevo, il pensiero che l'Amore non è amato... non è forse qualcosa di estremamente forte poter dire a tutti gli increduli: senza l'assillo della Passione sarebbe mai nata quella civiltà greca da cui attingete tutti i pensieri, senza eccezione?". Come noterà altrove "la Passione doveva ancora avvenire. Oggi essa è un evento del passato. Il passato e il futuro sono simmetrici". Influenzato da Israele e Roma, "il cristianesimo ha introdotto nel mondo questa nozione di progresso, e tale nozione, diventata il veleno del mondo moderno, lo ha scristianizzato. Se si vuole trovare l'Eternità, occorre disfarsi della superstizione della cronologia".

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