cronaca

«Io proteggevo mia moglie, loro picchiavano» Genova, il racconto del clochard bastonato

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Quella drammatica notte Bobak Yan la ricorda così: «Stavo dormendo con mia moglie Alice. Verso le quattro del mattino ho sentito dei colpi molto forti sulla tenda che si è rotta. Hanno iniziato a picchiarci con i bastoni e io ho cercato di riparare Alice ma le ha prese anche lei. Quando mi sono alzato erano già scappati. Alice era tutta viola, poverina». Portici di piazza Piccapietra, centro di Genova, lo scorso 25 gennaio. Un raid da «Arancia meccanica» con quattro picchiatori che massacrano a sprangate due coppie di clochard, tutti slovacchi di Rimavská Sobota, tutti in Italia a cercare fortuna.

Il trentenne Bobak Yan, cinque anni da badante a Taranto con la moglie e da dicembre per strada a Genova, guarda e riguarda le immagini choc diffuse ieri in rete dal Corriere Mercantile sul pestaggio. «Ma non riconosco nessuno, non so, non capisco... So solo che io ero lì sotto con Alice e che fuori fra gli scatoloni c’erano mio cognato e sua moglie». È il video di un negozio che riprende un minuto di violenza inaudita. Si vedono i cartoni delle loro «case», si vedono le coperte, i piumoni. E si vedono spuntare quattro figure sinistre, nere e incappucciate. Hanno i guanti, hanno i bastoni e si muovono nel silenzio della notte genovese senza aprire bocca. «Non hanno detto una parola, picchiavano e basta», dice ora Bobak che è uscito malconcio da quel pestaggio, con una placca di metallo nella testa. Il più robusto dei quattro si dirige su Jonas Koloman, suo cognato, e sulla moglie Susanna (Jonas è fratello di Alice), cinquantenni che vivono da artisti di strada. Lui fa il mimo e suona la chitarra, lei raccoglie le offerte con il cappello. Li bastonano con forza. «A Jonas hanno rotto la mano e forse non potrà più suonare. È preoccupato perché ora non sa come guadagnarsi da vivere». Jonas è un marcantonio di un metro e novanta e a picchiarlo è stato l’incappucciato più robusto. Cosa che ha portato gli inquirenti a pensare a una spedizione punitiva mirata.

Il procuratore di Genova, Michele Di Lecce, è però prudente: «Non sappiamo ancora esattamente quale sia stato il movente ma dagli elementi raccolti direi che si sta allontanando l’azione di un gruppo xenofobo». Ci sono alcuni iscritti nel registro degli indagati con l’accusa di tentato omicidio. Si tratta di giovani italiani, uno con un precedente per ricettazione che nel profilo Facebook sventola la bandiera della Sampdoria. Gli uomini della Mobile stanno verificando il traffico telefonico e attendono i risultati del Dna su un passamontagna trovato vicino al luogo del pestaggio.

Nel frattempo i quattro slovacchi sono stati ospitati da una parrocchia del centro. «Vorrei ringraziare tutte queste brave persone che ci stanno aiutando, il parroco, i volontari di Sant’Egidio, Maurizio, la Caritas. Però noi abbiamo un grosso problema adesso: non sappiamo più cosa fare e dove andare per non incontrare queste persone. Jonas non può fare nemmeno il mimo, le mogli sono spaventate e a me gira tanto la testa. A fine marzo ci scade anche il permesso di soggiorno, vedremo se tornare in patria ma lì è anche peggio».

Una situazione non proprio idilliaca quella di Bobak che era venuto in Italia pensando a un futuro felice. «Fino ad ora ho trovato alcune brave persone ma anche molto dolore». Colpisce una cosa di lui: non ha mai una parola dura nei confronti dei suoi aggressori. «Non so chi siano e non so perché l’abbiano fatto». Un litigio? Qualche incomprensione con chi vive nel quartiere, uno dei più belli di Genova? Possibile che non ci sia nulla? «Cosa posso dire? Io non ricordo problemi: eravamo in buoni rapporti anche con quelli dei negozi. Loro salutavano noi e noi salutavamo loro. Sono italiani? Non mi viene in mente nessuno».

Maurizio Scala, volontario di Sant’Egidio, li conosce bene: «Confermo che non li ho mai sentiti parlare male di nessuno. Eppure non se la passano bene: Bobak oltre al trauma cranico ha una mano ferita. Koloman e Susanna hanno fratture alle mani, alle braccia, gessi e punti di sutura». Koloman e Susanna sono arrivati sei anni fa in Italia, con una chitarra e una maschera da mimo. «Da tre anni a Genova, gente tranquilla, lo dice anche il consolato». Bobak e sua moglie avevano invece scelto Taranto, dove assistevano una persona anziana che poi è venuta a mancare. Una tragedia anche per loro, che hanno dovuto raggiungere i parenti a Genova e adattarsi alla vita da senzatetto. Ma Bobak non ha rinunciato al sogno: «Vorrei fare l’agricoltore, avere una casetta, anche piccolina, e portarci Alice». La Repubblica

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