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Accrocca risponde alla Cavani in un'intervista: Era in gioco una diversa concezione del modo di vivere la vocazione

Felice Accrocca
Pubblicato il 30-11--0001

L’articolo scritto da Liliana Cavani per L’Osservatore Romano, anticipato venerdì 30 agosto dal Corriere della sera, contiene diverse affermazioni forti. Ne abbiamo parlato con Felice Accrocca, storico, nostro collaboratore e professore nella Pontificia Università Gregoriana.

Don Felice, la Cavani sostiene che durante la permanenza di Francesco in Terra Santa ci furono molte tensioni tra i frati…
Ha ragione! Tensioni vi furono realmente, e di non lieve entità, come testimonia Giordano da Giano, molto bene informato su quegli anni difficili.

I frati allora tradirono la povertà, come sostiene la regista?
In realtà, proprio la testimonianza di Giordano ci aiuta a capire che non era in gioco tanto la povertà, quanto piuttosto una diversa concezione del modo di vivere la vocazione francescana. In sostanza: come i frati dovevano concretizzare la propria presenza nella storia? Come un Ordine ben ordinato e compatto, capace di operare per la riforma della Chiesa, oppure come fratelli dispersi tra i poveri, vivendo del lavoro delle proprie mani?

Don Felice, Liliana Cavani ama vedere Chiara e le sue sorelle impegnate nel mondo, al pari dei frati. Si può ritenere fondata una tale ricostruzione?
Non credo si possa affermare, prove alla mano, che Chiara fu costretta alla clausura dall’autorità ecclesiastica. Certo, la Chiesa, nel corso del Duecento, tese progressivamente a claustrare le donne che volevano vivere un’esperienza religiosa, ma ciò non toglie che la scelta di una vita ritirata fu compiuta liberamente da Chiara, sin dagli inizi della sua vita religiosa. D’altronde, in altre occasioni ella reagì energicamente, anche nei confronti di papa Gregorio IX; perché in questo caso avrebbe dovuto accettare supinamente qualcosa in cui non credeva? In realtà, le fonti rivelano che in una fase ancora embrionale della comunità le sorelle non andavano per l’elemosina, ma vi era già un frate che svolgeva questo servizio a loro beneficio.

La storia, dunque, ci restituisce una Chiara come siamo abituati a pensarla?
Purché però pensiamo a una vita ritirata, si, ma non avulsa dal mondo né morta ad esso. Per quanto ciò possa sembrare paradossale, niente appare più lontano dalla spiritualità di Chiara che un ideale di fuga dal mondo. Le testimonianze rese dalle sue compagne e dai cittadini assisani si rivelano, a questo proposito, di una chiarezza solare. Ad esempio, Angeluccia di Angeleio da Spoleto, entrata a S. Damiano nel 1225, affermò che quando Chiara «mandava le Sore servitrici de fora del monastero, le ammoniva che, quando vedessero li arbori belli, fioriti e fronduti laudassero Iddio; e similmente quando vedessero li omini e le altre creature, sempre de tutte e in tutte (le) cose laudassero Iddio».

Cosa direbbe allora a Liliana Cavani?
Anzitutto, che nutro una stima grande per il suo lavoro. Proprio per questo, mi auguro che degni di una qualche attenzione queste mie riflessioni in vista del suo nuovo – e atteso – film su Francesco.

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