religione

Concilio Vaticano II - Come una partita di calcio

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

Quando c'è la partita di calcio - scriveva monsignor Albino Luciani nell'aprile 1962 per spiegare ai fedeli della sua diocesi il significato dell'imminente concilio Vaticano II - non è che tutti gli spettatori capiscano e gustino alla stessa maniera. Uno sa le regole del gioco, sa i compiti precisi del portiere, delle ali, dei terzini, del centr'attacco, sa i trucchi e le mosse: quello apprezzerà i colpi riusciti, la tecnica e la bravura delle manovre e degli scatti, si entusiasmerà con intelligenza. Chi, invece, non sa, gusterà ben poco. Il concilio ecumenico, che s'aprirà tra sei mesi a Roma nella Basilica Vaticana, è una specie di partita straordinaria. Giocatori sono oltre duemila vescovi; arbitro, in qualche modo, è il Papa; serve da stadio il mondo intero; tra gli spettatori — a mezzo radio e televisione — saremo tutti noi".

Il convegno «Ostensus magis quam datus. A cento anni dalla nascita di Albino Luciani», organizzato dal nostro giornale e da «Il Messaggero di sant'Antonio», presso l'Aula vecchia del Sinodo giovedì 8 novembre, è stato l'occasione per ricordare (a chi visse i trentatré giorni) o per raccontare (a chi è nato dopo) chi fu veramente quell'«uomo venuto dal Veneto», e non solo per nascita. Albino Luciani entrò in seminario a undici anni e ne uscì prete a ventitré: vi imparò una severa disciplina di vita e una concezione pastorale della funzione della Chiesa. Una concezione fondata su tre presupposti: distacco dal mondo, obbedienza ai superiori, fedeltà assoluta all'istituzione, tre presupposti che rimasero il faro di tutta la sua vita fino al papato.

A questo quadro, Luciani aggiunse però un tratto molto personale: l'amplissima curiosità intellettuale e l'inesauribile interesse per la lettura (un interesse — ha ricordato Romanato — che impensierì il suo parroco, che arrivò a trepidare per la sua vocazione). La catalogazione della biblioteca di Canale d'Agordo compiuta dal chierico Luciani durante le vacanze estive, ad esempio, testimonia una capacità di lettura, assimilazione e giudizio inconsueti nel clero veneto del suo tempo, specie in un giovane seminarista.

L'amore per i libri diede un timbro inconfondibile alla sua azione pastorale, arricchendola di citazioni e riferimenti: per spiegare situazioni e concetti, Luciani inseriva di continuo, si trattasse di articoli o di omelie, reminiscenze letterarie. Esopo, La Fontaine, i fratelli Grimm, Mark Twain (il prediletto), Charles Dickens, Paul Bourget e Alphonse Daudet, Bernanos e Claudel, Chesterton, Anatole France, Papini, Solovev, Trilussa, Bernardino da Siena, Piero Bargellini e Pierre l'Ermite (né mancarono musica rock e fumetti).

Tutto questo, però, sempre restando in un disciplinato allineamento con la Chiesa del tempo: «Per quanto fosse forte in me la passione di leggere, di conoscere e di essere aggiornato — scriverà poi — non ero un prete di avanguardia o di frontiera; per il mio senso dell'obbedienza, della disciplina e del rispetto del Magistero del Papa e dei vescovi». Albino Luciani non fu insomma solo un prete di montagna. Precocissimo giornalista (nel 1960 si sofferma a lungo su «la parola di Dio "incartata"», cioè sulla possibilità di fare dei giornali un veicolo di evangelizzazione) e poi Papa a suo agio davanti alla telecamera, Luciani fu «un uomo del Novecento». Ebbe sempre la consapevolezza del ruolo centrale del sistema mediatico nella vita contemporanea e della necessità che laici ed ecclesiastici se ne servissero per la loro attività di apostolato. (news.va)

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